L'opera del mese del Museo della Scuola Romana - ottobre 2022

Giuseppe Capogrossi (Roma, 1900 - Roma, 1972)
Nudo e corazza, 1931 ca.
Olio su tavola, cm 65x81
Comodato Giuseppe Bertolami

Con la presentazione di quest’opera nel mese di ottobre 2022, il Museo della Scuola Romana vuole contribuire alla commemorazione dei cinquanta anni dalla scomparsa dell’artista Capogrossi, grande innovatore dell’arte italiana, tra i maggiori rappresentanti della pittura figurativa, nel periodo giovanile, e poi interprete di un personalissimo astrattismo segnico.

particolare: Giuseppe Capogrossi (Roma, 1900 - Roma, 1972) Nudo e corazza, 1931 ca. Olio su tavola, cm 65x81 Comodato Giuseppe Bertolami

Un morbido nudo femminile si volge verso una fredda armatura di durissimo acciaio scintillante: in Nudo e corazza Giuseppe Capogrossi mette in scena un notturno enigmatico in cui lo spazio è indagato mediante le diverse rifrazioni della luce notturna sulle superfici.
Al corpo femminile Capogrossi dedica grande attenzione in questi anni: si tratta di un soggetto tradizionale, lontano dall’arte di propaganda, ma anche – nelle pose sempre diverse in cui lo raffigura – di un pretesto per studiare configurazioni spaziali diverse.
Qui la donna ritratta è Hilde Pan, una giovane cecoslovacca giunta a Roma nei primi anni ‘30 con cui Capogrossi ebbe una relazione e che l’artista ritrasse più volte nei suoi dipinti.

Sono anni in cui nella pittura di Capogrossi emerge l’influenza dei suoi recenti soggiorni parigini: in Nudo e corazza, così come in altre opere coeve, sono riscontrabili citazioni dalle Odalische di Matisse, rivisitate però con uno stile personale in cui spunti dalla tradizione rinascimentale italiana dialogano con le ultime tendenze dell’arte francese.
Capogrossi sta infatti attraversando una fase di sperimentazione tecnica e quest’olio su tavola, con la sua resa pittorica e le tinte intense e sontuose, rappresenta una rara testimonianza di un periodo di riflessione sulla pittura veneta, da cui si allontanerà rapidamente, alla ricerca di nuove direzioni stilistiche. Come scriverà Pier Maria Bardi, direttore della Galleria di Roma, dove Nudo e corazza viene esposto nel 1932: “[Capogrossi] ha molto studiato e capito i veneti, e si è poi svincolato da quegli amori, altri ne ha vissuti”.

Anticipando la dirompente svolta segnica del suo linguaggio, già nella sua fase figurativa Capogrossi sembra frapporre una distanza fra sé e il mondo, che rappresenta con lo scopo di restituirne gli equilibri nascosti dietro le sembianze del reale, alla ricerca di un senso di spazialità interiore. Non solo in Nudo e corazza, ma anche in molti altri suoi dipinti, compaiono maschere accanto alle figure, che si presentano al riguardante come su un palcoscenico, quasi a voler smascherare la realtà come una messa in scena.

Nudo e corazza apparteneva in origine a Guglielmo Pampiglione, radiologo e amico della famiglia Capogrossi. Oggi è di proprietà di Giuseppe Bertolami ed esposto al Museo della Scuola Romana a titolo di comodato d’uso.

Giuseppe Capogrossi nasce a Roma nel 1900 da una famiglia aristocratica. Conseguita la laurea in giurisprudenza, decide di intraprendere la carriera artistica e nel 1923 frequenta la Scuola di Nudo di Felice Carena, dove conosce Fausto Pirandello ed Emanuele Cavalli, che diverranno suoi intimi amici. Nel 1933 insieme a Cavalli e Melli redige il Manifesto del primordialismo plastico, testo in cui vengono definiti i principi della pittura tonale. Nello stesso anno viene allestita alla Galleria Jacques Bonjean di Parigi una mostra che riunisce opere di Capogrossi, Cavalli, Melli e Sclavi, in occasione della quale il critico Waldemar George per definirli conia il termine “École de Rome”. Nel 1936 conosce Costanza Mennyey, pittrice di origini ungheresi e moglie di Enrico Prampolini, che diventa sua compagna e madre delle sue figlie Beatrice e Olga. Alla fine degli anni ’40 vive una profonda crisi che lo porta a ripensare la sua produzione e ad abbandonare definitivamente la pittura figurativa: nel 1950 presenta per la prima volta al pubblico, in una mostra alla Galleria del Secolo, la sua produzione astratta, caratterizzata dal suo inconfondibile segno, che lo renderà tra le figure più emblematiche dell’informale italiano.
Giuseppe Capogrossi muore a Roma il 9 ottobre 1972.
 

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