L'opera del mese del Museo della Scuola Romana - dicembre 2023
Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995)
Cretto bianco, 1977,
bianco di zinco e vinilico su tela, cm 43x31,
MSRo 86
L’opera Cretto Bianco, del maestro Alberto Burri, si trova esposta in una sezione separata del Museo della Scuola Romana, in quanto testimonia una storia diversa rispetto al resto della collezione. Essa fa parte della cosiddetta Collezione Ingrao-Guina, assieme ad altre 34 opere di piccolo medio formato, donate nel 2011 dalla famiglia del medico Francesco Ingrao, stimato pneumologo e collezionista. Nel corso della sua vita professionale Ingrao ebbe modo di incontrare e curare molti artisti che alimentarono la sua passione per l’arte tanto da portarlo a frequentare assiduamente i loro studi ed i vitali luoghi della scena artistica romana del dopoguerra. La sua collezione comprende quindi nomi di grande rilievo per l’arte italiana della seconda metà del secolo scorso, personalità che lavorarono in continuità o rottura con i loro maestri dei decenni precedenti, molti dei quali presenti nelle vicine sale del Museo. Il rapporto di amicizia che Francesco Ingrao ebbe con gli artisti è testimoniato dalle dediche che possono leggersi su alcune opere esposte, a lui donate, come nel caso del piccolo ma importante nucleo dei cinque lavori di Alberto Burri.
L’opera qui presentata è composta da una superficie bianca, su tela, solcata da una trama di spaccature. Datata sul verso, con la dedica a pennello “a INGRAO / CON amicizia / BURRI 77”, essa si inserisce nella serie dei Cretti, fra le opere più celebri dell’artista e dell’arte del ‘900. A partire dagli anni Sessanta, e in modo più sistematico dal 1973, l’artista, che stava già sperimentando l’arte materica ed informale con diversi materiali quali catrame, sacchi, plastiche, ferro, legno, inizia a creare queste superfici monocrome applicando su supporti bidimensionali uno spesso strato di caolino, resine, pigmento e vinavil, che, durante il processo di essiccazione, davano luogo ad una trama di fessurazioni, simili al craquelé delle opere pittoriche antiche. Burri realizza anche dei Cretti in versione monumentale, a partire dal 1976, con il Grande Cretto Nero per il Franklin D. Murphy Sculpture Garden alla University of California Los Angeles e, a seguire, con il Grande Cretto per il Museo di Capodimonte a Napoli. Ma il più noto, anche per il forte impatto simbolico e paesaggistico che assunse, è il cretto rettangolare ideato a partire dal 1981 per il sito dell’antica città siciliana di Gibellina, distrutta nel 1968 dal disastroso terremoto del Belìce. L’idea fu quella di realizzare un’opera di land art, ossia un unico e monumentale Cretto rettangolare bianco, di circa 300 x 400 metri, che ricoprisse parte delle rovine, intervenendo concretamente nella definizione del paesaggio. I lavori, iniziati nell'agosto 1985, sono andati avanti fino al 1989 per essere poi del tutto completati nel 2015. L'ultimo grande cretto Nero e Oro di Burri viene presentato al Museo internazionale della ceramica di Faenza nel 1993.
Le altre quattro piccole opere di Burri presenti nel Museo, tutte recanti dediche a Francesco Ingrao, una delle quali per il suo settantesimo compleanno, testimoniano l’intensa amicizia tra i due, che, nonostante la differenza di vedute politiche, trovò probabilmente un terreno comune anche nella medicina. Burri infatti in età giovanile si era laureato in medicina, prima che la sua vita prendesse tutt’altra direzione: arruolato durante gli anni della seconda guerra mondiale, finì nel 1943 in un campo di concentramento per prigionieri di guerra negli Stati Uniti, da dove tornò in Italia nel 1946, per avviare, definitivamente, la sua importante carriera artistica.
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